Sembravano altri tempi quando turbe di fedeli si muovevano in processione per le rogazioni nelle campagne (e non solo) e tra le tante invocazioni c’era anche questa: «A peste, fame et bello libera nos, Domine». Liberaci, o Signore, dalla peste, dalla fame e dalla guerra… Un’invocazione mai superata – forse dimenticata – ma che ora torna di stringente attualità, almeno per chi crede, e che con qualche probabilità interpella anche la coscienza di chi non crede.
In tempi di pestilenze, ieri come oggi, i credenti implorano la Provvidenza per tutti coloro che operano nella scienza e nella ricerca; per coloro che sono in prima linea – i veri martiri – a servizio degli ammalati; per tutti quelli che sono uniti nel grande abbraccio del volontariato; per chi è preposto nelle responsabilità del governo dei popoli; per chi soffre e chi muore; per tutti coloro che vivono in una tensione di fragilità che può esplodere da un momento all’altro con ricadute inimmaginabili sul tessuto sociale.
Di fronte alla situazione attuale - abbastanza chiara quasi per tutti - viene da domandarsi: qual è la lezione di vita che stiamo attraversando, e che poi possiamo trarre quando tutto sarà finito? Il momento presente insegna che viviamo in una costante tensione di paura di fronte ad un nemico impalpabile e imprevedibile, e ricorda che non tutto dipende da noi, anzi! Da qui però sta riemergendo il valore della famiglia, del sapersi parlare, del non ricorrere all’evasione del silenzio nel virtuale, della ricerca di un rapporto interpersonale… tutte realtà – insieme a numerose altre – che si erano diluite in un tranquillo orizzonte di superficialità.
Oggi come ieri il credente si rivolge a Dio. Secondo un antico messale dell’alto Medioevo, in occasione della peste così si pregava: «O Dio, nella tua misericordia hai fornito all’umana fragilità i mezzi necessari per ottenere il tuo aiuto; ti preghiamo di non privarcene mentre consoli noi che siamo nella prova; e venendoci incontro con la tua clemenza ti chiediamo di fare in modo che cessi la desolazione…».
Quale lezione sapremo trarre da questo isolamento, da queste paure che si sono insinuate nel più profondo e a qualunque livello delle nostre personalità? Il bisogno dell’incontro nel volto dell’altro, chiunque esso sia, e di rapporti umanamente più immediati richiederà di superare il momento dei concerti dai balconi per individuare e realizzare quel concerto armonico e costante, costituito da rapporti più diretti e per questo più umani, più rispondenti al nostro essere persone in un mondo culturalmente immenso, ma molto piccolo e talvolta opaco nelle relazioni.
La persona è relazione: con se stessa, con gli altri, e - per chi crede - con Dio. Ce lo ricordano tutte le scienze. Ora ce lo insegna nuovamente la situazione che a livello mondiale stiamo vivendo, e che con rinnovato coraggio ci stimola a fare nostra l’invocazione: «A peste… libera nos…». Con una precisazione che non ci deve sfuggire: da quante forme di peste abbiamo bisogno di essere liberati? Forse il silenzio di questi giorni può costituire una valida opportunità per una riflessione strategica che senza dubbio emergerà e si riverserà come balsamo sulle tante ferite con cui inevitabilmente convive il limite di ogni persona. E se trasformassimo questo limite in una opportunità? Problematica la risposta, ma ineludibile!
Manlio Sodi
Presidente emerito della Pontificia Accademia di Teologia